Il caso musicale di cui si è sentito molto parlare negli scorsi mesi riguarda Taylor Swift che negli 2019, in occasione degli American Music Awards, non si è potuta esibire in un medley dei suoi vecchi successi poiché i diritti dei suoi brani erano di proprietà del suo manager.
Infatti, la sua vecchia casa discografica The Big Machine è stata acquisita da Scooter Braun, suo manager, entrando così in possesso anche dei sei master (le registrazioni originali) della cantante.
In particolare, in occasione degli American Music Awards, essendo questo uno show televisivo e siccome l’esibizione veniva ripresa, la performance veniva considerata come una sorta di nuova registrazione prevedendo così l’interesse, oltre al classico diritto d’autore, anche dei diritti discografici, applicabili alle specifiche incisioni che non erano più di suo possesso.
La cantante è così intervenuta sui social pubblicando un tweet che si può riassumere con “la mia etichetta mi impedisce di suonare le mie vecchie canzoni agli AMAs e le sta negando a un documentario che Netflix ha in preparazione su di me” facendo così insorgere i suoi fan contro l’etichetta discografica.
Braun in seguito ha poi venduto, contro la volontà della popstar, i diritti a Shamrock Holdings, una società di private equity, di proprietà di Roy E. Disney, nipote del celebre Walt, e si stima per un valore di oltre 300 milioni di dollari.
Nel 2020 Swift però ha firmato un nuovo importante accordo con la Universal Publishing Group e la cantante possederà sia i diritti dell’inciso che del testo delle sue canzoni.
La vicenda è interessante per sottolineare come al giorno d’oggi molte star musicali cercano di diventare in prima persona le titolari della gestione del proprio business sottraendolo il più possibile ad entità terze come multinazionali o etichette indipendenti.
Quindi Taylor Swift con la sua società, Taylor Swift Productions Inc, potrebbe gestire direttamente i propri diritti che insieme ai concerti rappresentano una delle voci di reddito più importanti.